Inferno - Canto XI

Inferno - Canto XI

Canto XI

Sono le 4 del mattino di sabato 9 aprile.
I due pellegrini sono arrivati all’orlo del VI cerchio, sulla ripa tra questo e il VII, dal cui profondo sale un fetore intollerabile. Per tal causa cercano riparo e un poco di sollievo dietro il coperchio d’una tomba che porta la scritta: «Anastasio papa guardo,/ lo qual trasse Fotin da la via dritta» (vv. 9-10).
Dunque, un pontefice eresiarca?
C’è un fraintendimento da parte di Dante: egli aveva letto il Liber Pontificalis e il Decretum del monaco camaldolese Graziano, il quale rimprovera il Papa di eccessiva indulgenza verso le dottrine di Acacio, autore dello Scisma di Oriente (484 d.C.) basato sulla concezione monofisita.
Invece Anastasio II (496-498) è considerato santo.
Virgilio decide di ritardare la discesa, affinché il senso dell’olfatto si abitui un poco al «tristo fiato». E l’Alighieri, che dava grande peso e significato al tempo, invita il Maestro a usare l’attesa in modo che non passi invano. Così il poeta latino descrive lo strapiombo infernale. Ci sono ancora tre cerchi: settimo, ottavo e nono, con tre gironi il settimo, dieci malebolge l’ottavo e quattro zone il nono.
Come ho accennato prima, il cerchio degli eretici è a sé stante, mentre gli altri che seguono, raggruppano in varie sistemazioni il peccato della violenza e quello della frode.
Ora, nell’esposizione didascalica che prende l’intero canto, c’è un’ultima domanda di Dante che chiede spiegazioni circa la collocazione dei peccatori: cioè, per quale motivo esiste un Antinferno formato da cinque cerchi, e poi la vera e propria città di Dite con gli altri quattro, divisi nelle sottospecie che abbiamo già descritto (gironi, malebolge e zone)?
Virgilio si richiama all’Etica Nicomachea di Aristotele (opera basilare riguardo la morale), per cui l’ordinamento infernale è architettato secondo le teorie del grande filosofo, il quale distingue in tre tendenze fondamentali la malvagità dell’animo umano: incontinenza, malizia e matta bestialità.
L’incontinenza offende meno Dio, in quanto non reca danno reale agli altri.

Negli incontinenti (che hanno ricercato con esagerazione i piaceri di per sé leciti se usati con moderazione, almeno nella passione amorosa e nella buona tavola) si trovano: lussuriosi, golosi, avari e prodighi, iracondi, tristi e accidiosi; nella malizia, ci sono quelli che hanno finalizzato l’ingiuria alla violenza contro sé, Dio, la natura, il prossimo, l’arte etc. (Dante li riunisce sotto il denominatore comune di “violenti”); nella «matta bestialitade» sono raggruppati coloro i quali (secondo i commentatori antichi, per primo Pietro Alighieri) hanno degenerato nei gradi disumani della violenza, soprattutto contro gli indifesi. Secondo il Boccaccio, si tratta di un’endiadi, per cui “matta bestialitade” sarebbe la stessa cosa espressa in due parole. Ma l’importante è qui valutare perché Virgilio chiami in campo il più autorevole dei filosofi: il concetto è presto chiarito: l’incontinenza enumera peccati meno gravi di quelli inseriti nella categoria dei violenti e fraudolenti.
Nella mente del Fiorentino affiora un altro dubbio, che ha, nell’economia totale del suo pensiero etico, un’importanza primaria anche in senso sociale: Perché l’usura offende Dio?
La risposta è fra le più attuali, proprio oggi. Risponde Virgilio: L’uomo – come asserisce Aristotele nella Fisica e come si legge nel libro della Genesi – deve vivere col proprio lavoro, in quanto questo è nipote di Dio perché è legge di natura, e la natura è figlia di Dio. L’usuraio non trae guadagno dal lavoro, bensì dal denaro. In questa maniera pecca contro la natura e contro Dio.
Il procedimento sillogistico messo in bocca al poeta latino fa di Dante un laudatore delle umane opere scaturite dall’industrioso agire dell’uomo, da cui il lavoro è motivo di orgoglio e di nobilitazione.
Il canto, sistematico nella delucidazione didattica, si chiude con l’indicazione dell’ora terrestre: «Ma seguimi oramai che ‘l gir mi piace;/ ché i Pesci guizzan su per l’orizzonta/ e ‘l Carro tutto sovra ‘l Coro giace,/ e ‘l balzo via là oltra si dismonta», vv. 112-115 (seguimi dunque, perché voglio procedere nel cammino; la costellazione dei Pesci sorge all’orizzonte, e l’Orsa Maggiore è ormai nella regione del Coro, a Nord-Ovest, sulla linea del Maestrale, e più in là c’è la china della ripa).
Anche in Inferno, dove «l’aer è sanza stelle», il Sommo Poeta non perde occasione per parlare di astronomia, anche se il Purgatorio, col cielo stellato e poi illuminato dal Sole, sarà la cantica legata a questa scienza cara all’Alighieri, il quale ne farà usi diversi (compreso quello di indicare l’anno di nascita del suo trisavolo Cacciaguida attraverso i moti dei corpi celesti – Marte – nel XVI del Paradiso).