Se mala segnoria, che sempre accora li popoli suggetti, non avesse mosso Palermo a gridar: "Mora, mora!"

Dante non è mai stato in Sicilia. L’immagine dei versi che la citano nel Paradiso è certamente di origine letteraria, le Metamorfosi di Ovidio e l’Eneide di Virgilio:

E la bella Trinacria, che caliga,

tra Pachino e Peloro, sopra 'l golfo

che riceve da Euro maggior briga,

non per Tifeo ma per nascente solfo…

(Paradiso, VIII, 67-70)

Agli occhi del poeta la Sicilia costituisce l’essenziale matrice della poesia volgare italiana, per spinta di un sovrano di origine germanica, lo svevo Federico II attraverso un accorto trapianto di forme liriche provenzali:

Se mala segnoria, che sempre accora

li popoli suggetti, non avesse mosso

Palermo a gridar: "Mora, mora!”

(Paradiso, VIII, 73-75)

Palermo, è protetta da santa Rosalia, la “santuzza” le cui ossa si venerano sul monte Pellegrino che chiude il golfo della città. Complementare alla santa, il “genio di Palermo” è una statua barbuta e coronata abbracciata a un grosso serpente che si nutre al suo petto.

Nella cattedrale, tra gli altri re di Sicilia, Federigo il Soave, Federico II di Svevia Stupor Mundi è sepolto in un massiccio sepolcro di porfido rosa.

Dietro di lui la madre, Costanza di Altavilla:

Quest' è la luce de la gran Costanza

che del secondo vento di Soave

generò 'l terzo e l'ultima possanza.

(Paradiso, III, 118-120)

La luce della gran Costanza risplende nel cielo della Luna. Dante dà qui credito anche a una falsa leggenda secondo cui, prima di sposare Enrico VI (padre di Federico II), lei sarebbe stata suora e sottratta a forza dal convento.

Sulla Conca d’Oro in cui brulica Palermo, infine, si affaccia la cattedrale di Monreale, tempio cristiano di forme saracene e normanne, tutta d’oro nei mosaici splendenti con lo sguardo severo del Cristo Pantocrator che ci guarda dall’abside. Cristo come l’Oriente, l’oro come luce: la parola ricorre 67 volte nella Commedia:

O luce etterna che sola in te sidi,
sola t'intendi, e da te intelletta
e intendente te ami e arridi!

(Paradiso, XXXIII, 124-126)

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Leggere di Palermo

Giuseppe Tomasi di Lampedusa

Portano immediatamente nella Sicilia risorgimentale le scene del film Il gattopardo di Luchino Visconti del 1963, vincitore della Palma d'Oro al Festival di Cannes nello stesso anno. Girando per Palermo è possibile riscontrare alcune delle ambientazioni sfarzose di quella pellicola che ha trasportato sul grande schermo l'omonimo romanzo, il più famoso di Giuseppe Tomasi di Lampedusa (1896-1957) che gli valse il Premio Strega