Giuliana Poli intervista Letizia Urbani

Deh, bella donna, che a’ raggi d’amore
ti scaldi, s’ì vò credere à sembianti
che soglion esser testimon del core,

come si volge, con le piante strette
a terra e intra sé, donna che balli
e piede innanzi piede a pena mette,

volsesi in su i vermigli e in su i gialli
fioretti verso di me, non altrimenti
che vergine che li occhi onesti avvalli;

e fece i prieghi miei esser contenti,
sì appressando sé, che ‘ldolce suono
veniva a me cò suoi intendimenti.

Tosto che fu là dove l’erbe sono
Bagnate già da l’onde del bel fiume,
di levar li occhi suoi mi fece dono.

Non credo che splendesse tanto lume
Sotto le ciglia a Venere, trafitta
Dal figlio fuor di tutto suo costume.

Ella didea da l’altra riva dritta,
trattando più color con le sue mani,
che l’alta terra senza seme gitta..

(Purgatorio, XXVIII, 39-69)

La figura di Matelda è sicuramente uno dei personaggi più misteriosi della Divina Commedia. Dante la incontra nel momento in cui sta per lasciare il Purgatorio e si addentra in un’altra antica selva oscura e rigogliosa, di altra natura rispetto l’inizio del suo viaggio anche se in qualche modo i due luoghi sono ancora comunicanti.
Questo lo si evince dall’illustrazione del vento e delle foglie che si piegano verso sinistra, ancora verso il passato. Quest’altra selva come la prima è talmente oscura che non si può vedere da dove si è entrati. Abbiamo quindi due realtà uguali e contrarie. L’Inferno è la nascita nell’antro materno materiale che corrisponde ad una morte divina. il Paradiso è la morte terrena e nascita o meglio ritorno verso la Madre celeste. Un fiumicello taglia la strada a Dante.
E’ il fiume Lete il cui movimento anch’esso piega verso sinistra. L’acqua è pulitissima e depurata come mai visto in terra, corre scura dentro l’ombra perpetua che non lascia entrare i raggi né del Sole né della Luna, quindi appartengono ad un mondo diverso, non materiale. Al di là del fiume ci sono rami fioriti ed ad un tratto Dante vede una donna bellissima, dallo sguardo magnetico che in un primo momento abbassa gli occhi con un fare vergineo ed è felice e serena cantando e cospargendo di fiori il proprio cammino.
Lei rientra nella bellezza classica, senza tempo poiché è essa stessa sia tempo che spazio, bellissima fuori e dentro. Una Proserpina botticelliana. Dante vuole udire il canto di Lei ma non può avvicinarsi troppo poiché l’acqua li divide. Il fiume in realtà è sinonimo di Giustizia poiché ha due lati: quello verso Dante è l’Eunoè bagnandosi in esso si rafforza il ricordo delle buone azioni, la parte del fiume vicino Matelda è il fiume Lete, lava e battezza da ogni peccato togliendo la memoria delle brutte azioni commesse.
Sembra la bilancia con i due pesi in uno che guarda verso sinistra ovvero il passato e l’altro che guarda verso destra, verso il futuro, esattamente come i due San Giovanni e come le due porte solstiziali: la porta degli uomini (Solstizio di Estate) e la porta di Dio (Solstizio d’Invermo).
La prima è il momento della morte del divino e la nascita umana, la seconda il momento della morte umana e la nascita verso il divino. Il luogo dei due passaggi è simile al Parnaso dell’età dell’oro. Matelda canta dicendo che sono beati gli uomini i cui peccati sono stati perdonati. Matelda ride ed è allegra come l’uomo anteriormente alla caduta a seguito della quale trasformò la sua gioia in “pianto ed affanno”.
Nel luogo in cui è Matelda non arrivano i vapori della terra e il movimento dell’aria e dell’acqua non derivano da leggi terrene ma direttamente da Dio.
Dante segue Matelda e insieme, ma ognuno nella sua diversa sponda, iniziano a risalire l’acqua che va verso destra, stavolta quindi verso il divino. Ad un tratto la Donna si ferma e lo chiama “fratello mio”… Con questa frase il Poeta sottolinea il senso di appartenenza, quindi Matelda è una Fedele d’Amore e giovannita così come tutti i templari spiritualmente legati all’Evangelista, ovvero il fuoco. Matelda è il cuore e l’ultimo stadio del processo alchemico, ovvero la fase della rubedo.
La “bella donna” come la chiama Dante ha i fiori gialli e rossi, simbolo proprio di quest’ultimo passaggio: la fenice rosso fuoco, dove la luce spirituale e l’anima vengono liberate dalla prigionia materiale e rinascono: Matelda infatti va in giro da sola e ride. E’ felice perché rappresenta l’anima tornata libera e gioiosa, realizzando se stessa. Mentre all’Inferno la sede del cuore tradito è incarnato dalla Pia dé Tolomei che chiede con cortesia a Dante di ricordarsi di lei alla fine del viaggio, la liberazione del cuore è Matelda. Non a caso prima del perdono e del passaggio al Paradiso, Dante viene sgridato e punito da Beatrice che rappresenta la Sapienza e quindi la Giustizia, in maniera molto severa, tanto che Dante, pieno di vergogna sviene e solo dopo il suo interiore drammatico pentimento, sarà perdonato. Solo in quel momento, Matelda potrà immergerlo nell’acqua di Lete, dove dimenticherà le bruttezze della sua anima e purificato, potrà accedere al Paradiso.
Matelda chiama fratello Dante, poiché è nel cuore che avviene la “pesa”, mettendolo in relazione con la piuma. Il cuore è il segno del riconoscimento tra Matelda e Dante che appartengono allo stesso unico grande organo pulsante che è quello della Madre celeste. Beatrice è la somma delle donne che appartengono come era in uso nel Medioevo, alle “Corti d’Amore”, un corpo di giudici femminili che decidevano in tutte le cause di amore misurando la dimensione spirituale delle parti. Esse erano legittimate in quanto conoscevano le leggi del segreto dell’amore, simboleggiato dalla fenice rossa e sappiamo che nel Medioevo il culto dell’amore era legato alla cavalleria ghibellina.
Beatrice è l’Amore giusto, ma a mio avviso il vero simbolo dell’Amore spirituale e dell’Alchimia che crea questo dualismo è Matelda. Mentre l’Amore giusto segna la strada, tra l’alto ed il basso è la Luce dell’Intelligenza, ed è quindi l’auctoritas, del vero amore, Matelda è la fiamma, la scintilla, lo stadio d’illuminazione che fa comprendere l’Amore giusto che è Intelligenza e autorità. Senza Matelda non si arriverà mai alla comprensione.
Questo avviene attraverso l’aiuto e lo sforzo dell’Amore spirituale che è il cuore, dove scorrono non a caso due vie in uno, la via blu e la via rossa (Enoué e Lete). Entrambe devono riportare non all’amore dei sensi, ma a quell’acqua lustrale profonda e cristallina, quella luce divina paradisiaca della gioia e della felicità che è realtà vera se si compie la realizzazione di se stessi. Quindi Matelda porta “i fratelli”, i fedeli del vero Amore alla Verità, ma insegna a Dante al quale parla da sorella, che non basta avere il Luz divino e che senza la volontà, o il riconoscimento della vera essenza delle due vie, non si arriva alla Sapienza. La pura fede che nella Commedia è Maria, non è sufficiente. Matelda profuma e canta, ride, si delizia.
Dante teme per Lei. E’ troppo bella e potrebbe fare la fine di Proserpina che fu rapita da Ade, ma Lei non è inconsapevole, ma consapevole, segue il suo cammino giusto, quindi è sicura di ciò che fa, ed è felice. Lei è l’essenza vitale di Beatrice che non sgrida Dante non lo fa svenire è giovane e calma. Lei è distaccata e non turbata dalle cose terrene poiché Lei stessa è l’essenza di Dio. E’ il cuore che è sempre disinteressato che non ha nome, infatti Dante la chiama la bella donna e il suo nome compare solo una volta. E’ Matelda, ovvero Mater Ella e tutti i fedeli all’amore non possono che conoscere. E’ l’essenza del tutto, poiché ha le chiavi del Paradiso.
Il personaggio di Matelda è meraviglioso, ma a chi si è ispirato Dante?

Immersa nei fiori il poeta incontra una «donna soletta che si gìa cantando e scegliendo fior da fiore»… Alcuni affermano che sia Matilde di Canossa, ma credo abbia ragione lo storico Tomassini che la Matelda è presente a Matelica. E’ la Beata Mattia, il cui sangue è ancora vivo e che ripete il miracolo degli “umori” simile a quello di San Gennaro, il santo napoletano che rappresenta non a caso la figura di Janus da cui deriva Giovanni. Lei appartenne alla famiglia degli Ottoni, la più importante famiglia di ghibellini, sempre in lotta con la guelfa famiglia dei Varano di Camerino. La Beata è sempre immersa nei fiori e ne emana il profumo.

In due pergamene del 1287, rispettivamente il 26 settembre e il 10 dicembre, Mattia, entrata nel convento nel 1270 e divenutane abbadessa tre anni dopo, viene citata, infatti, con il nome di “Matelda” di Matelica, la Mater Ella che attende i puri di cuore, al di là dello specchio del fiume Lete. E’ l’Angelo che permette il passaggio dal di quà al di là dello specchio. La mediatrice tra cielo e terra, la Madre che ha mente attiva, che è ferma e pacata, figlia attiva, della Rosa mistica.

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Giuliana Poli, ricercatrice di antropologia culturale, scrittrice di Tradizione, scrittrice di monografie e testi su opere d’Arte, analista ed esperta d’iconografia ed iconologia di opere d’arte. Analisi semantica del linguaggio dell’Arte e della parola.